Imparare a scrivere per le aziende
Qualche giorno fa mi sono iscritto ad un corso di narrazione, alla scuola Holden di Torino. Ascolterò le lezioni di Ammaniti, Matteo Caccia, Baricco, Andrea Marcolongo (quella de La lingua geniale, colei che ha fatto del greco un best seller). Non credo che nessuno di loro parlerà di business, né di marketing: allora perché mi sono iscritto se io scrivo storie principalmente per le aziende? La risposta è nelle attività che facciamo tutti i giorni. Giornate piene di meeting, call, brief (strutturati e non), progetti, nozioni legati al marketing. Posizionare e posizionarsi, brand identity e KPI.
Sì, ma cosa compra davvero la gente? Cosa cercano i nostri clienti?
Le persone comprano storie, e le storie hanno delle logiche universali. Quindi da principio, e questo è un punto fondamentale per chi si avvicina a questa materia, bisogna imparare a scriverle. Sarei presuntuoso se pensassi che una giornata con degli autori di fama riconosciuta basti ad imparare a produrre testi memorabili. Infatti la prima cosa che dobbiamo apprendere è ascoltare. Ascoltare tutte le storie che l’universo racconta, quelle che trasformano le marche in archetipi e miti, gli stili e le nozioni necessarie per far sì che la gente resti, e possibilmente torni, sui nostri testi. Non solo quando parliamo. Ma anche quando facciamo un post su Facebook, quando prepariamo una presentazione in power point, persino un preventivo. Esperienze che hanno un impatto straordinario, “momenti che contano”, come li chiama Dan Heath. Chiaro che, in questo contesto, chi ha una predisposizione a trasformare i fatti in una storia, ha più possibilità di attirare l’attenzione dei lettori.
E quindi dei clienti.
Le attività umane che prevedono l’uso di storie sono virtualmente infinite, tanto che si potrebbe dire che le narrazioni entrano in gioco ogni qualvolta attiviamo i nostri circuiti cerebrali, cioè sempre. La letteratura o il romanzo, così come li conosciamo, rappresentano solo un “tardo” e recente prodotto. Le storie iniziano da prima della letteratura, i miti e gli archetipi non nascono con il mito. Quindi non è corretto dire che lo storytelling dei brand si ispiri alla letteratura. Lo storytelling è qualcosa di molto più primordiale. Noi esseri umani abbiamo assoluto bisogno di raccontare. È sempre stato così ed è ancora così. In questo senso non dobbiamo dimenticarci che alla base di qualunque strategia digital, e di marketing, c’è una logica story-driven a guidarci.
Avete mai sentito parlare del Magic Castle?
È uno degli alberghi più apprezzati di Los Angeles. Le valutazioni sono stupefacenti: in oltre 2900 recensioni pubblicate, più del 93% degli ospiti lo giudica “eccellente” o “ottimo”. Ma c’è qualcosa di strano nella classificazione dell’albergo: se scorrete le foto che si trovano sul web non direste mai: “Questo è uno dei migliori alberghi di L.A.” Nel cortile interno c’è una piscina che si potrebbe definire olimpionica solo se le Olimpiadi si disputassero nel giardinetto di casa vostra. Le stanze sono antiquate, i mobili sono economici, e quasi tutte le pareti sono nude. Persino la parola “Hotel” sembra esagerata. È un Motel rispettabile, ma non è il Four Season 1 .
Come fa ad essere uno degli alberghi più apprezzati di Los Angeles?
Molto lo deve al telefono color rosso ciliegia installato su un muro accanto alla piscina. Tiri su la cornetta e qualcuno risponde: “Hello, Popsicle Hotline”. Ordini e, pochi minuti dopo, un cameriere in guanti bianchi ti porta il tuo ghiacciolo alla ciliegia, all’arancia o all’uva sul bordo della piscina. Su un vassoio d’argento. Gratis.
E poi c’è il servizio lavanderia. Puoi far lavare montagne di roba senza spendere un centesimo. I tuoi capi ti vengono restituiti in giornata, avvolti in una carta da macellaio chiusa con lo spago e spruzzata di lavanda. Vengono consegnati con più solennità di quando il medico ti ha messo in mano il tuo primo figlio.
Le recensioni degli ospiti del Magic Castle Hotel sono entusiastiche. I suoi gestori hanno capito che per fare felici i clienti non devi preoccuparti di ogni minimo dettaglio. I clienti accetteranno piscine e camere modeste, a condizione che alcuni momenti siano veramente magici. Quando chiami la Popsicle Hotline è un momento determinante? In rapporto ad una vita, no di certo. Ma nel contesto di una vacanza lo è di sicuro. La conclusione è semplice: certi momenti sono molto più significativi di altri. Perché diventano storie da raccontare.
Chi ha scritto questa storia? Chi ha deciso che doveva essere quella da tramandare?
Probabilmente nessuno si è svegliato una mattina ed ha pensato: “Ehi, scriviamo sui nostri social che da noi i ghiaccioli sono gratis!”. Probabilmente, la logica story-driven del Magic Castle punta sul fattore sorpresa, sul fatto di stupire con alcune azioni semplici ma a cui nessuno aveva pensato. Il content continuum 2 che ne deriva è spontaneo. Si propaga sui social network grazie alle stories postate su Instagram o con i tweet dei clienti, fino alle recensioni su Trip Advisor. In questo contesto non conviene far sì che “i momenti magici” non siano frutto di estemporaneità, ma che siano attentamente pianificati? Perché sono questi momenti, quelli che il cliente ricorda. E per pianificarli al meglio conviene sempre partire dalle storie.
E dall’abilità nel raccontarle. Nell’esercizio continuo.
No, non andrò al corso con gli autori per imparare ad essere più creativo, o per imparare a scrivere meglio (magari fosse così semplice). Lo farò perché ho bisogno di allenare la parte narrativa del mio cervello. Perché lo storytelling è una disciplina molto più concreta di quello che si pensa ed è molto diversa dalla scrittura creativa. È pianificazione, identificazione con i valori della marca. Eppure sono sicuro che chi fa il nostro mestiere debba allenarsi con i migliori, a costo di lasciare per un giorno i brand a casa. Tanto ci penserà il prossimo power point a ricordarci l’importanza dei KPI.
1 Chip Heath e Dan Heath, Momenti che contano
2 Andrea Fontana, Storie che incantano